La protezione dei dati critici è oggi una questione cruciale per le aziende, che la associano alla capacità di recuperare tempestivamente le informazioni dopo incidenti che ne potrebbero danneggiare l’integrità. In altri termini, l’esigenza di Business Continuity è ormai divenuta inderogabile, perché anche un downtime improvviso e limitato nel tempo può trasformarsi in un serio svantaggio competitivo. Una ricerca condotta da Arcserve ha mostrato che il 64% dei decision maker IT a livello mondiale si trova d’accordo sul fatto che, negli ultimi cinque anni, nonostante gli sforzi per adottare soluzioni efficienti ed economicamente vantaggiose, le azioni congiunte di Business Continuity (BC) e Disaster Recovery (DR) hanno raggiunto un livello di complessità sempre più elevato. Una delle risposte migliori a questo bisogno di semplificazione, fortemente avvertito, può arrivare dal Cloud computing: in base al 2018 Cloud Security Report, infatti, ancora oggi il 27% delle aziende non dispone di soluzioni di BC/DR per affrontare i tempi di inattività imprevisti causati da errori umani, disastri naturali, arresti di corrente o incendi.
L’ecosistema Cloud al servizio della Business Continuity
Lo studio sopra citato va integrato considerando la crescente adozione del Cloud per Business Continuity e Disaster Recovery. Dal quarto rapporto annuale State of the Cloud and Data Protection di Unitrends emerge che in tre anni la percentuale di organizzazioni che utilizza il Cloud per le funzionalità BC/DR è aumentata del 22%. All’origine di questa popolarità c’è anzitutto l’evidenza che le interruzioni dei provider di servizi Cloud pubblici (Cloud Service Provider o CSP) sono molto rare. Il che non esclude che possano avvenire. È stato calcolato che un danno grave che metta fuori linea un CSP top negli Stati Uniti per tre-sei giorni si tradurrebbe in perdite di settore per un valore di 15 miliardi di dollari. Ipotesi di per sé assai remota. Ma è lo stesso paradigma Cloud a venire incontro a questo rischio potenziale. Infatti, a quei clienti che fanno migrare verso la “nuvola” carichi di lavoro mission-critical, i CSP garantiscono connettività resiliente e ridondante tramite piattaforme geograficamente distribuite. In questo modo i piani BC/DR ripartiti su una serie di servizi locali e Cloud (la cui complessità di gestione va di pari passo con un aggravio dei costi CAPEX) possono lasciare spazio all’interconnessione in tempo reale a più CSP che fanno parte di un solido universo Cloud.
La ridondanza in Cloud che salva i dati e assicura continuità operativa a basso costo
L’architettura Cloud è in grado di assicurare continuità operativa a costi contenuti in seguito ai casi peggiori di attacchi informatici quali, ad esempio, quelli di tipo DDos (Distriuted Denial of service). Poiché in questa evenienza l’obiettivo degli hacker è di far collassare server o siti web aziendali intasandoli di traffico malevolo, se l’oggetto dell’attacco fosse un’infrastruttura on-premise o centralizzata, potrebbe essere contrastato con la ridondanza, ma con costi in percentuale molto più elevati.
Nelle infrastrutture on-premise, infatti, la spesa del sito gemello sui cui svolgere le attività di replica in ottica BC/DR prescinde dai consumi effettivi. Anche nei periodi di inattività le risorse non utilizzate vengono comunque pagate, proprio perché rientrano nei costi CAPEX citati prima. Con il Cloud, invece, la ridondanza viene gestita tramite solo un servizio di replica: ogni modifica fatta sul sito primario viene replicata sul secondario, ma non vengono consumate risorse prestazionali (CPU e RAM). Solo in caso di failover verranno utilizzate le risorse allocate sulla nuvola. Per tutti questi motivi è conveniente avere la Business Continuity e il Disaster Recovery in Cloud. Ed ecco spiegati i risultati del rapporto State of the Cloud and Data Protection che vedono le aziende sempre più orientate a scegliere questo paradigma per rispondere alle loro esigenze di BC/DR.